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Editoriali | Ugo Leone | 13 Novembre 2017
Napoli, la tua storia
non è imitabile
Napoli, la tua storia non è imitabile
Napoli è una città variamente giudicata. In particolare, molto sinteticamente, sono due le interpretazioni più ricorrenti: Napoli è una città molto bella e attraente ma vi è una scadente qualità della vita e una scarsa o insufficiente qualità e quantità dei servizi. Sono due stereotipi un po’ superficiali, ma con fondamenti di verità. Ma anche con una sostanziale importante differenza rispetto a molte altre grandi città italiane e straniere:
- la bellezza, la storia, la biodiversità culturale che caratterizzano storia e presente di Napoli chi non ce le ha non se ne può dotare, mentre
- servizi buoni e sufficienti chi non ce li ha se ne può dotare
- In questa visione Napoli entra a pieno diritto nella categoria delle città con una buona dotazione di risorse ambientali: quelle che la saggistica anglosassone definisce amenity resources. Risorse immateriali che consistono in particolari combinazioni di clima, territorio, paesaggio, risorse idriche eccetera capaci di esercitare una forte attrazione su chi vive in altre parti del Paese (o all’esterno del Paese) che ne sono meno dotate.
Questa disponibilità può costituire un vantaggio in termini di sviluppo e crescita. Perché, da tempo ormai, le localizzazioni delle principali modalità della crescita economica e dello sviluppo sociale, sono diventate ubiquitarie. Abbastanza indipendenti, cioè, dalla disponibilità in loco delle risorse. Ciò ha spostato in altri settori le scelte delle localizzazioni, nel senso che potendo andare dovunque si tende o si può tendere a scegliere i luoghi più appetibili.
Questa situazione di potenziale vantaggio è tanto più da prendere in considerazione volendo dare il peso che secondo me merita la tesi secondo la quale le metropoli "sono entrate in una fase di quello che viene definito urbanismo concorrenziale che riguarda le localizzazioni delle loro attività con particolare riguardo ai centri di decisione, i centri di ricerca scientifica, le industrie ‘pulite’ che costituiscono 'motori' dello sviluppo". In questi casi è provato che la scelta delle nuove localizzazioni tende a favorire quelle città che offrono lo "stile di vita" più attraente, la migliore qualità dell'ambiente, una idonea dotazione di servizi. Se si condivide questa impostazione e questa interpretazione della realtà -e prescindendo dalla osservazione che tende a vedere privilegiati i luoghi nei quali quello che conta è il basso costo della mano d’opera- se ci mettiamo in questa posizione la domanda è: allora? Perché questi vantaggi Napoli non se li è giocati nella partita della crescita economica?
Perché –tranne qualche recente confortante caso- i centri di decisione, i centri di ricerca scientifica, le industrie qui localizzabili, anzicchè venire se ne vanno alimentando il “grido di dolore” di Gaetano Manfredi contenuto nella intervista di Bianca De Fazio (L’allarme di Manfredi “Non c’è più tempo trasferire qui i centri direzionali e produttivi”, “La Repubblica” 8 novembre 2017). Il Rettore della Federico II lamenta con dolore la migrazione di 200.000 laureati meridionali verso il Centro-Nord provocata dal fatto che il territorio non ha più prospettive importanti da offrire. E non solo per la deindustrializzazione, ma perché non vi sono più centri decisionali capaci di innescare sviluppo.
Quindi la sua conclusione è che “Abbiamo pochissimo tempo per invertire la tendenza…” e “non è più un problema di finanziamenti, ma si tratta di far convergere sul Sud l’attenzione dei centri produttivi e direzionali”.
Il discorso è dimensionato sul Mezzogiorno, ma è soprattutto Napoli che può essere interessata e trainante.
Insomma Napoli è lo specchio del Napoli calcio: giocatori che non vengono e giocatori che se ne vanno perché per quanto bello il posto, splendido il gioco, formidabili i tifosi eccetera, qua non si vince niente…
Allora la domanda che bisogna porsi è perché ciò avviene e che cosa i potenziali promotori di sviluppo e crescita chiedono per essere aiutati a trattenere chi se ne vuole andare; per richiamare chi se ne è andato; e per attrarre nuove presenze.
Questi temi sono stati discussi in un animato e proficuo incontro al PAN il 10 novembre. L’evento era organizzato da “Vivoanapoli” un’associazione fondata nel 2013 allo scopo principale di “collaborare alla creazione di un sistema della cultura in grado di favorire lo sviluppo sociale e economico di Napoli e della Campania”. Il tema era: “Napoli/città creativa. Un modello di sviluppo”. La partecipazione è stata di Paolo Verri che, tra l’altro, ha coordinato il gruppo operativo per il Piano strategico di Torino e ha ottenuto per Matera il riconoscimento a capitale europea della cultura 2019; Marco Musella direttore del Dipartimento di Scienze politiche della Federico II; Ambrogio Prezioso Presidente della Unione Industriali; Daniele Pitteri docente di Marketing culturale e dell’assessore all’Urbanistica Carmine Piscopo.
L’obiettivo era, è e deve essere quello di indirizzare verso un modello di sviluppo che tenga conto del nuovo modo, potenzialmente vincente per Napoli, di intendere sviluppo e crescita.
In un recente articolo sul “Times” (Mia Aimaro Ogden, “The big weekend: Naples”) l’autrice dice di Napoli che “è ora una città davvero cool. La capitale del Sud Italia, un tempo diamante grezzo, è stato lucidato brillantemente ed è una destinazione perfetta per un fine settimana”. Non c’è dubbio che questa lucidatura sia avvenuta come dimostra l’incremento delle presenze turistiche. Ma non basta un bel weekend. La dimensione vincente deve essere il secolo: quello in corso e quelli a venire.



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