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Editoriali | Ugo Leone | 22 Febbraio 2017
Vesuviando
Vesuviando
Anche quest’anno per la festa degli innamorati l’Assessorato alla cultura del Comune di Napoli –assessore Nino Daniele- ha organizzato l’evento dal significativo tema “Innàmorati di Napoli con gli innamoràti di Napoli”. Dove gli innamoràti erano un gruppo di cosiddetti “ciceroni illustri” invitati ad illustrare a quei napoletani che avessero scelto di (ri)innamorarsene vari luoghi e strutture della città. Fra queste il Vesuvio che dentro Napoli non sta, ma che da Napoli si può guardare, studiare e invita a riflettere. È quello che ho provato a fare io ad un folto gruppo di persone che si erano prenotate per sentire, appunto, parlare del Vesuvio. Dato per scontato che del Vesuvio si può sapere tutto anche standosene comodamente in poltrona e chiedendo a Google di che cosa si tratta e sapendo che a siffatta domanda Google risponde con oltre un milione di risultati; dato ciò per scontato mi è sembrato più interessante dire cose meno note e meno ricorrenti in una occasione come questa. Perfino trascurando di ricordare quanto hanno scritto del Vesuvio i molti viaggiatori del Grand Tour che avendo inserito Napoli tra i luoghi da visitare raramente hanno evitato una salita al Vesuvio. E l’ho trascurato anche perché, come ha scritto François-René de Chateaubriand ( Saint Malo 1768- Parigi 1848) dopo una sua ascesa al vulcano, “L'eremita mi ha presentato il libro ove gli stranieri sogliono scrivere qualcosa. Non vi ho trovato un pensiero degno d' esser ritenuto: i francesi, con il buon gusto che loro è proprio, si sono contentati di indicare la data del passaggio o hanno fatto l' elogio dell' eremita. Il vulcano nulla ha ispirato di notevole ai viaggiatori: ciò mi conferma in una mia vecchia idea che cioè i grandi soggetti, come i grandissimi oggetti, non sono capaci di far nascere i grandi pensieri; la loro eccellenza è così evidente che ogni aggiunta serve ad impicciolirla. “.
Allora mi si potrebbe chiedere perché il Vesuvio? La risposta è che il Vesuvio è l’icona di Napoli, della sua femminilità. Perché Napoli è femmina come femmina era la sirena Parthenope che pare fosse la più bella del golfo, sepolta secondo la leggenda nel luogo in cui oggi sorge Castel dell'Ovo.
La storia del Vesuvio è storia di eruzioni, di lunghe pause e di riprese anche violente che hanno profondamente mutato l’originario stato dei luoghi: vicini e lontani. Malgrado ciò l’area sulla quale incombe il vulcano è molto popolosa perché la fertilità delle terre derivante dai depositi vulcanici ne determina non solo la colonizzazione, ma anche i ritorni dopo le eruzioni. Nel caso del Vesuvio la colonizzazione dell’area risale a poco meno di duemila anni fa quando i Greci e poi i Romani stabilirono le prime colonie alle falde del Vesuvio. Solo dopo la catastrofica eruzione del 79 d C le colonie romane stabilitesi tra Pompei, Ercolano, Stabia ed Oplonti furono costrette ad abbandonare il Vesuvio. A quella seguì nel 472 d.C. un’altra eruzione esplosiva di grande energia e l’area rimase sostanzialmente disabitata per qualche centinaio di anni. Poi, comunque, specialmente tra la violenta eruzione del 1631 e l’ultima del 1944 il ripopolamento è avvenuto costantemente e con abitazioni generalmente a debita distanza dal cratere.
Dal dopoguerra è iniziata un rapido popolamento anche alle falde del vulcano; la popolazione residente nel 1951 è più che raddoppiata e, soprattutto, è triplicato il numero degli edifici espandendo a dismisura la cementificazione in tutta l’area vesuviana.
Eppure il Vesuvio viene anche generalmente –magari troppo generalmente- associato subito a Pompei ed Ercolano sepolte dall’esplosione del 79 d C. Esplosione perché le eruzioni del Vesuvio non sono solo di tipo effusivo cioè con emissione di lava come accade prevalentemente per l’Etna, ma soprattutto di tipo esplosivo. Caratteristica che ne fa uno dei più pericolosi della Terra. Perché esplosiva sarà quella che vi sarà quando il Vesuvio deciderà di uscire dal sonno che ne caratterizza l’attuale stato di quiescenza. Perché dorme, il Vesuvio, ma è un vulcano attivo.
E non dorme il sonno dei giusti dal momento che, come lo ha definito Renato Fucini, è “il grande delinquente dalle bellissime forme che tutti ammirano perché é feroce, che tutti amano perché é bello” è, dunque, un grande delinquente o, se si preferisce, è “lo sterminator Vesevo” come lo definisce Giacomo Leopardi.
Ma è anche bello il Vesuvio. Ed è ricco di bellezze. Non è solo uguale ad eruzioni e disastri per molte delle quali non ha particolari responsabilità. Non è solo questo. È anche un dispensatore di fertilità e qui nascono prodotti di eccezionale valore e sapore perché questa è una terra di fuoco ma non ha a che vedere con quella battezzata “terra dei fuochi”. E non è certamente per caso che albicocca, pomodorini, la susina turcona, i friarielli, il vitigno piedirosso, tanto per citare solo i più famosi prodotti della terra hanno il marchio di qualità sancito dalle denominazioni di origine rigorosamente controllate.
Né basta perché per motivi generalmente sconosciuti e trascurati l’area vesuviana, Somma vesuviana in modo particolare, è l’area della maggiore importazione e trasformazione del baccalà norvegese ed islandese. Insomma è un patrimonio di biodiversità animale, vegetale, culturale che va rispettata e tutelata in tutti i modi. Per questo motivo il 5 giugno del 1995 è stato eretto a Parco nazionale, il Parco Nazionale del Vesuvio, che, con i suoi 8.482 ettari e i 13 comuni che ne fanno parte, è tra i più piccoli d'Italia. Tuttavia nel parlare di Vesuvio non si può trascurare di dire del vulcano quello che è e quello che è stato e quello che potrà essere. Cioè che si ratta di un vulcano pericoloso. Ma è anche importante avvicinarsi al problema nel modo più realistico e meno catastrofista possibile. E vedere se ci sono e quali sono le possibilità di prevenzione dei danni alle persone. Per secoli la prevenzione, almeno per la città di Napoli, è stata affidata al suo patrono San Gennaro. Lo aveva notato anche Goethe (1789) quando aveva scritto che i napoletani "vanno e vengono tutto il giorno in un paradiso... e quando la bocca dell'inferno loro vicino minaccia di montar sulle furie, ricorrono a San Gennaro e al suo sangue". Oggi il discorso é diverso. Perché da anni ormai, la "cultura del rischio" si esercita nel modo migliore attraverso i filoni della previsione e della prevenzione di fenomeni naturali calamitosi nel tentativo di realizzare concretamente l'obiettivo della convivenza col rischio che è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per realizzare una buona qualità della vita. I vulcanologi, ma anche i non addetti ai lavori, sanno che il "dinamico riposo del Vesuvio" potrebbe avere prima o poi un termine. Svariate ipotesi sono state fatte in proposito, da un risveglio prossimo, fino ad ipotesi di 50-100 anni se non di secoli. I più piccoli segnali premonitori, quali alterazioni dei gas delle fumarole, piccoli terremoti o deformazioni sono continuamente monitorati. Per far fronte ai grandi rischi connessi ad una possibile eruzione del Vesuvio la Protezione Civile nel 1995 e poi con successive modifiche ha redatto un piano nazionale d'emergenza che individua zone a diversa pericolosità, prevedendo azioni di soccorso e piani di evacuazione. In particolare dal 2016 l’area considerata di pericolosità è stata ampliata comprendendo i territori di 24 Comuni e tre circoscrizioni del Comune di Napoli. Oltre ai 18 indicati già in zona rossa (Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Pompei, Portici, Sant'Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, San Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase), saranno ricomprese le circoscrizioni di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio del Comune di Napoli, i Comuni di Nola, Palma Campania, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano e Scafati, e l'enclave di Pomigliano d'Arco nel Comune di Sant'Anastasia.
Ma la speranza, San Gennaro a parte, è che “a muntagna” continui a dormire placidamente.
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