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Editoriali | Gianni Rinaldi | 13 Marzo 2018
Impresa sociale contro la crisi del Sud
Impresa sociale contro la crisi del Sud

Mezzogiorno e povertà sembra ormai un connubio indissolubile. Una questione meridionale cronica che invece di indietreggiare, avanza inesorabilmente, come afferma anche l’ultima indagine di Bankitalia che va a fotografare la condizione del nostro Paese relativa al 2016. I dati si possono leggere, incrociare, analizzare e fargli dire tante cose, ma la realtà che ne esce è una: cresce la differenza tra ricchi e poveri, cresce la differenza tra Nord e Sud. Guarda caso all’indomani del risultato elettorale, la cartina economica di Bankitalia coincide con quella politica.

Il 40% della ricchezza nazionale è nelle mani del 5% della popolazione, mentre un misero 1% deve sfamare un terzo dell’Italia. Numeri che fanno rabbrividire, ma il colpo di grazia arriva con la media del 23% delle famiglie che rischiano la povertà (circa 830 euro al mese) con un picco del 39% nel Mezzogiorno. Questo dato è in aumento in tutta Italia, con percentuali diverse tra nord e sud, a testimonianza che il divario tra ricchi e poveri cresce ovunque ma con forbici diverse. I più penalizzati sono i giovani, ma soprattutto gli immigrati. Questi ultimi toccano soglie di povertà del 55%, confermando che le politiche di integrazione e il tessuto economico italiano non sono ancora in grado di inserire chi viene nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore.

In un quadro così deprimente una speranza può essere riposta nel Terzo Settore e nella nuova disciplina delle Imprese Sociali. Il terzo settore, per decenni, carico di valori ma con poche risorse e con limitate possibilità di realizzarne in divenire, si è posto come un sostituto dello Stato nell’erogazione del welfare. Assistenza e servizi ma poca visione imprenditoriale tesa a generare ricchezza, sia normativa che aziendale, ha tarpato le ali di un comparto che avrebbe potuto sviluppare lavoro e una economia “diversa” negli obiettivi, nella fiscalità e nella redistribuzione di benessere, da quella convenzionalmente conosciuta con le classiche for profit.

La ridefinizione ed ampliamento dei campi di attività, la possibilità di distribuire utili e un ampio ventaglio di strumenti di finanziamento, anche fiscali, si propongono di eliminare i lacci che hanno limitato l’espansione di un modo di fare economia che potrebbe trovare praterie di utilizzo soprattutto nel Mezzogiorno. Una carta ancora tutta da giocare.

 

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