LEADERBOARD
Editoriali | Ugo Leone | 08 Gennaio 2018
La parola che manca
La parola che manca

L’anno appena cominciato celebra almeno due importanti anniversari: i settant’anni della Costituzione e i cinquanta del Sessantotto. Se ne parla e se ne parlerà. Anche perché c’è un filo che, in Italia, lega a posteriori i due anniversari. Comincio dal Sessantotto per ricordarne un aspetto, tra i tanti: quello di avere “importato” la caratteristica ambientalista del movimento nato nelle università californiane dalle quali si è andato progressivamente diffondendo. Prima e innanzitutto nei paesi economicamente più sviluppati, poi anche in quelli in via di sviluppo nei quali il deterioramento ambientale presenta aspetti non meno allarmanti di quelli che hanno caratterizzato le economie dei paesi industrializzati. La componente ecologista del movimento ha avuto grandi meriti nella sensibilizzazione di crescenti “masse” di popolazione ai problemi dell’ambiente ed ai rischi connessi con una crescita puramente quantitativa che non si traducesse in reale sviluppo economico e sociale. Anche in Italia dove, preoccupati soprattutto della ricostruzione post bellica e del rilancio della crescita (che fu poi definita il boom degli anni Sessanta), non ci si preoccupava del come tutto ciò si stava realizzando: con quale impatto negativo su ambiente e territorio. E, quindi ignorando quanto tutto ciò si stava realizzando in modo “incostituzionale”.  Trascurando cioè di sapere e ricordare che la Carta Costituzionale all’articolo 9 prevede che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Un articolo ricco di “parole chiave”: cultura, ricerca scientifica, paesaggio, patrimonio storico e artistico, ma priva di un’altra: la parola ambiente. Come già mi è capitato di notare (Costituzione. La parola che non c’è, “la repubblica-Napoli” 7 gennaio 2018) questa assenza si “giustifica” perché all’epoca –era il 1947- non si parlava di ambiente. Non come se ne sarebbe cominciato a parlare dal ’68 e come se ne parla oggi e non con le preoccupazioni con le quali questo argomento si affronta da una quarantina di anni. La ricostruzione fisica delle fabbriche distrutte e delle abitazioni rase al suolo dalla guerra avvenne, soprattutto per l’edilizia abitativa, in modo assolutamente  incurante dell’importanza del valore paesaggio. E furono messe, non solo a Napoli, “le mani sulla città”. E in non pochi casi ne ha negativamente risentito anche il patrimonio storico e artistico. Il che significa che ne ha complessivamente risentito l’ambiente di vita. Cioè ciò che ci sta intorno che è il più genuino significato della parola ambiente. Anche per quaesto non ci sarebbe, non ci dovrebbe essere, bisogno di ricorrere alla Costituzione per riconoscere la incostituzionalità di comportamenti che quasi quotidianamente compromettono la qualità della vita dei cittadini. Perché qualità dell’ambiente e sicurezza del territorio sono temi che qualunque governatore della cosa pubblica dal governo centrale al più piccolo degli ottomila comuni del Paese, dovrebbe avere in cima ai suoi obiettivi di gestione dei cittadini che è stato chiamato ad amministrare.

Tags
 
Lascia un commento

Nome

Email

Commento

2 + 2